#BegbieOnTour ep. 14 – Il derby di Genova visto nel Tempio Genoa Sampdoria Marassi stadio Ferraris

#BegbieOnTour ep. 14 – Il derby di Genova visto nel Tempio

Non sei di Genova, non sei né Genoano né Sampdoriano e sabato sera eri a Marassi nonostante l’allerta meteo e la partita a rischio. Non hai l’accredito stampa, il biglietto gratis, il viaggio pagato da qualcuno o altro a cui “aggrapparti”.

La domanda che ti fanno in tanti è semplice e anche abbastanza legittima: perché?

La risposta citando Renton potrebbe essere: “non ci sono ragioni”. Ma la verità è che di ragioni ce ne sono fin troppe per mettersi in viaggio. Dalla storia di Pato Aguilera al gol retrocessione di Mauro Boselli, passando per Vujadin Boskov, Ruud Gullit, “A tu per tu” con Paolo Villaggio e tanto altro. Il derby di Genova, a modo suo, è presente nella cultura di massa ben più di quanto pensiamo.

Basta trovare un dannato parcheggio e avvicinarsi a piedi verso lo stadio per essere inghiottiti da un’atmosfera che, tocca ammetterlo anche se fa molto luogo comune, ricorda molto quella inglese.
Focaccerie, bar, tabaccai, supermercati, non c’è nulla nei chilometri vicini allo stadio che non sia pieno di tifosi per qualche birra prepartita. La strada che circonda il “Ferraris” due ore prima del derby è già bloccata dalle persone in mezzo alle corsie, con buona pace dei vigili che provano a ripristinare il traffico o dei pochi cittadini che vogliono semplicemente tornare a casa.

La sensazione, in ogni caso, è che tutta la città si sia fermata. Il silenzio della strada è quasi più assordante delle eplosioni delle prime bombe carta e crea un’atmosfera noir insieme alle varie scritte “ACAB” e “Tutti liberi” presenti sul muro del carcere di Marassi, a pochi metri dallo stadio.
Anche una volta entrati comunque, durante la ricerca del settore corretto, non ci si allontana molto dall’architettura di un carcere. Tanto che per prendersi una birra sembra quasi che si debba corrompere una guardia.

#BegbieOnTour ep. 14 – Il derby di Genova visto nel Tempio

Arrivati sugli spalti la visuale è da brividi, anche dalla “gabbia” solitamente utilizzata per gli ospiti. La distanza dal campo è minima e tra le vetrate si scorge ancora qualche adesivo dei Delije, souvenir di Ivan Bodganov (“Ivan il terribile”, se preferite) e di Italia-Serbia dell’ottobre 2010.

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Le coreografie, il tifo, i fumogeni, il seguire la partita in piedi in diversi settori dello stadio oltre alle due gradinate fanno il resto, e rispondono in maniera esaustiva a qualsiasi “perché?“. Perché il derby di Genova, la sua gente, il suo stadio rappresenta il calcio nella sua essenza più cruda e affascinante. E non servono ragioni quando hai il calcio.

Il risultato finale? Lo lascio ai tifosi delle due squadre e a chi respira questa partita 365 giorni l’anno, a me toccano ore di macchina per il ritorno a casa sotto l’acqua della fottuta allerta meteo.

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